Il Natale si potrebbe denominare oramai la festa della famiglia e della casa; la festa dei doni; la festa dell'inverno, che rende tanto più gradite le pareti tepide e luminose e adorne di mobili comodi e d'accessori gentili, quanto più fuori soffia gelido il rovaio, scroscia la pioggia, o la neve imbianca i tetti, gli alberi, le vie.
È bello che così sia, che alla dolce festa della fede abbiamo affidato la celebrazione del focolare, l'affermazione dei vincoli più cari, composti dalle memorie e dagli affetti: però le gioie e i conforti della vita vissuta, le cure, i doveri di famiglia e di società, non devono allontanare troppo il nostro spirito, o, peggio, fargli del tutto dimenticare l'origine religiosa e sacra della festa della Natività, che, prima d'esser festa delle famiglie, fu ed è festa del cristianesimo, commemorazione d'un avvenimento raro e divino.
Lasciamo elevarsi l'anima sulle sue rapide ali che in un attimo la trasportano lontano dalla terra, in una sfera di luce astrale; lasciamola, in questo giorno di letizia soave, purificarsi un istante a una sorgente mistica, rivivere nelle lontananze secolari con la fede, l'emozione, la poesia, la semplicità di allora, la notte misteriosa in cui s'adempirono le promesse dei profeti, in cui riluceva in cielo la Stella del Miracolo, e in terra, nella forma più umile, avveniva il prodigio.
Ecco, come ci è stato tramandato dalle sacre carte, il racconto della nascita di Gesù:
«In quei giorni appunto uscì un editto di Cesare Augusto per fare il censimento di tutto l'impero.
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