Impariamo a non sottrarci all'incarico che Dio ci affida per grave e difficile che possa sembrarci, per quante difficoltà, tristezze e dolori ci prepari l'avvenire. Impariamo ad essere docili strumenti d'una Volontà arcana e suprema, a rinunziare prontamente a tutto il resto per rispondere, come la dolce fanciulla di Jesse nel profumo dei gigli: «Ecco l'ancella del Signore».
Vediamo la Vergine del Rosario. Non è l'Ancella come l'Annunziata; non è la Madre dolorosa; non la Regina come l'Immacolata e l'Assunta. È la sorella pia che insegna a pregare, la confortatrice che dona un talismano di fede e di fortezza. Come l'omaggio istituito da San Domenico prese il nome di rosario? Una mistica tradizione lo narra. Udite.
Un giovine e innocente pastore, devoto a Maria, soleva recitare la corona mentre il suo gregge pasceva tra le solitudini della montagna. Era così povero e semplice che nemmeno possedeva la pia collana destinata ad aiutarlo nella sua preghiera, ed egli se n'era fatta una di suo gusto, infilando delle more selvatiche in un sottile giunco piegato a guisa di cerchio. Ogni sera appendeva la sua corona agreste ad un albero, ed ogni mattina la riprendeva per orare.
La Madonna, si compiacque del fervore sincero dell'umile creatura, e un mattino del dicembre, mentre la neve, durante la notte, aveva imbiancato i dorsi e le cime delle montagne, e il pastorello, intirizzito, si recava faticosamente al solito albero per riprendere la sua corona di more e di giunco, operò un gentile miracolo, facendo trovare al fanciullo, invece del serto arido, una fresca corona di rose candidissime, tramezzate, di dieci in dieci, da una rosa vermiglia.
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