Gli antichi asceti lo ritenevano, anzi, salutare per l'anima, come mezzo più facile per ottenere una suprema felicità compensatrice. «Non si può andare al riposo senza il travaglio - è scritto nell'Imitazione - nè senza la pugna giungere alla corona».
Vi è, poi, in questo libro austero e ritemprante, in cui lo spirito può rifugiarsi come in un eremo salubre dalle altissime cime, dove il rumore dell'abitato non giunge, e nulla, se non qualche eco, turba la quiete solenne, vi è un altro capitolo che giova rileggere quando si ha l'anima oppressa e stanca, e lo scoraggiamento vince. In esso le dolci parole Divine esortano, confortano, infondono nuovo vigore, sono come la voce, appunto, del capitano che invita, persuade, e, con la punta della lucida spada, addita all'orizzonte, fuor dell'aspre roccie dell'ascesa, la visione gloriosa della terra conquistata, dove ognuno che non abbia disertato, che abbia saputo giungervi senza indietreggiare, sarà chiamato eroe.
Non è perchè Dio non ascolti le nostre preghiere che non ci esaudisca, molte volte, ma perchè Egli sa quello che noi non sappiamo perchè fra la mente di questo Essere, che nemmeno sappiamo concepire, e la nostra mente, i nostri concetti, le nostre aspirazioni, vi è una distanza ancora più grande di quella che passa dall'intelligenza del maggior savio a quella di un bimbo irragionevole a cui non si può concedere quello che chiede con lagrime e preghiere e che giudica il suo bene.
L'aspirazione alla felicità perfetta, direi, anzi, la nostalgia di essa, è innata nell'anima umana: e Dio ve la mise per renderla conscia dei suoi alti destini, per incoraggiarla ad ascendere, ad ascendere senza tregua, finchè avrà trovato il regno beato ove poserà come nel suo elemento naturale, e nessun mistero, nessuna oscurità vi saranno più per lei che avrà compiuto il suo lungo cammino attraverso ai regni della desolazione, dell'errore, della morte.
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