... e sentiamo che solo il dolore ce la poteva dare.
«Bisogna persuadersi - leggevo in un libro consolatore - che la vita presente è la grande officina ove Dio purifica e santifica l'umanità. Pretendere che essa debba trascorrere scevra di mali, sarebbe pretendere che il guerriero riporti la palma del trionfo senza aver sostenuto il combattimento. Dunque, il dolore non è una vendetta di Dio, ma un mezzo di prova e di purificazione».
E poichè noi non esitiamo ad affrontare il dolore fisico quando sappiamo che è necessario per renderci la salute, non esitiamo ad inghiottire medicine amare, a sottoporci a privazioni ed a rinunzia quando il nostro bene lo richiede, così dobbiamo accogliere il dolore morale, nella fiducia che non soffriremo inutilmente. Il dolore non ci viene direttamente da Dio - esso è inerente alla umana natura - ma Dio creatore se ne valse come delle materie informi del caos, per fornire alle anime un elemento di luce, di riabilitazione, di ascesa verso la perfezione.
Esclamava S. Agostino: «Quale tremenda croce l'essere senza croce!», volendo con ciò significare che l'anima che ignora il dolore e la sofferenza non potrà mai sollevarsi dalle zone materiali, nè acquistare quella chiaroveggenza e quella superiorità che solo l'affinamento del dolore può dare. Se così non fosse, se le lagrime e le tribolazioni rimanessero tormento sterile o rappresentassero una punizione ingiusta di qualche colpa remota, Gesù, il grande Consolatore, non avrebbe detto: «Beati quelli che piangono, perché saranno consolati» non avrebbe ripetuto: «Il Signore riprende e affligge quelli che ama».
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