Questo fatale contrassegno di predilezione divina noi vedemmo sempre splendere sulla fronte dei grandi benefattori dell'umanità, siano essi pensatori che abbiano gettato con le loro opere vivi raggi di luce e feconde sementi di bene nei cuori: siano apostoli di fede, di civiltà, di carità pietosa, che, con una vita d'abnegazione alacre, soccorrono, salvano, redimono, sorreggono o difendono i miseri, i derelitti, gli oppressi. Tutti quelli che sanno efficacemente consolare, che operano il bene con sincero spirito di bontà e fervente amore, conobbero la sofferenza, furono affinati, purificati e qualchevolta trasformati dal dolore. Chi non ha pianto mai, non sa che cosa sia piangere: chi trascorre l'esistenza tra le frivole occupazioni d'una giornata d'egoistiche soddisfazioni materiali, e sopisce le contrarietà e i dispiaceri nelle ebbrezze, e allontana tutto ciò che potrebbe indurlo a tristi considerazioni, e scosta da sè il fratello che lagrima per non vederne il pallido viso che gli pare di cattivo augurio: tutta questa gente che il mondo volgare chiama saggia, non potrà mai conoscere un lato della vita, il lato più augusto, più alto, più importante: non proverà mai quel senso quasi d'orgoglio che ci fa avvertiti del possesso di qualchecosa che essi non possiedono e non possederanno mai è che cinge il petto come una forte armatura e la fronte come una corona d'alloro. Pare, dunque, che il dolore sia necessario all'anima per vivere completamente, idealmente: per dominare, per spaziare.
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