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      Nè ama le preghiere lunghe, concettose, retoriche, in cui l'orgoglio umano - l'eterno nemico - trova modo d'insinuarsi. La preghiera, secondo Gesù, deve essere un puro atto d'abbandono e d'umiltà, compiuto con fervore.
      «Padre nostro» invocazione soave! Al più eccelso di tutti i sovrani, al più possente, al più temibile: all'Ente la cui definizione esorbita dall'umana facoltà che rinunzia a comprendere, e tace e s'arresta sbigottita ai limiti del mistero: al Principio e all'Autore d'ogni cosa, che vive nell'Infinito, così diverso da noi come il mare da un granello d'arena, noi possiamo dire familiarmente, teneramente «Padre!» E la nostra confidenza chiede, implora la sua bontà clemente, la sua protezione, la sua misericordia. Padre! Con questa parola tutto è detto, tutto è sperato, tutto è chiesto. Ma non per un individuo solo, non per colui che prega. Gesù non volle che si invocasse egoisticamente Dio; non c'insegnò a dire Padre mio, ma Padre nostro, di tutti gli uomini, perchè tutti gli uomini devono, secondo la sua legge, considerarsi fratelli, soggetti agli stessi dolori, bisognosi della stessa consolazione. E questa consolazione è mistica e sublime, giacche viene a noi non da un potere terreno, condannato ad uguali miserie delle nostre, la cui potenza riparatrice e salvatrice ha dei limiti ma da un Padre che vive nei Cieli, nello spazio, fuor del tempo e della vita, a cui tutto è possibile, anche il prodigio. Sia, dunque, intero il nostro ardore nell'implorazione preliminare: «O padre nostro che sei nei cieli!


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Pagine mistiche
di Jolanda
Editore Cappelli
1919 pagine 168

   





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