E, grave o lieve che sia il fardello delle nostre mancanze, facciamo di sentirne tutto il peso allorchè, nei giorni di penitenza e di lutto cristiano c'inginocchieremo in un angolo raccolto di chiesa per adempiere l'atto dell'umiltà e della pacificazione. Ma prima imploriamo da Dio la luce spirituale che ci permetta di vedere anche l'ombre della coscienza, anche ciò che nessuno vede e nessuno sa: e che c'impedisca pure di lasciarci fuorviare da scrupoli vani e puerili. E la confessione di ciò che ci rimorde sia semplice e sobria, senza mescolanza d'elemento profano. Alcune fanno delle vere conversazioni alla grata del confessionale, piene di particolari, di pettegolezzi, ed infiorate non di rado da giudizi poco benevoli addotti a propria difesa. Tutto questo è profanazione, è volgarità. Bisogna sentirsi comprese dell'austera solennità del momento, bisogna che il sacerdote sparisca e che ci sentiamo in presenza di un Trasmissore della volontà di Cristo e del potere di Dio. Allora la confessione delle nostre mancanze sarà umile, fervida, sincera, senza attenuanti e senza divagazioni. Allora ascolteremo i conforti e i consigli con cuore commosso, e ci allontaneremo di là veramente migliori, veramente mondi nell'intimità del nostro cuore e del nostro pensiero; allora noi sapremo che la riparazione vera non è tutta nelle pratiche di pietà o nelle preghiere che il sacerdote ci ha assegnato per espiazione, ma nell'emendamento delle debolezze di cui più dobbiamo lagnarci, nell'osservanza severa di quei doveri ai quali contravveniamo più di frequente, nella cura assidua, sino a guarigione ottenuta, di quelle imperfezioni dell'anima che sono spesso più brutte e ributtanti o ridicole di certe imperfezioni fisiche.
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