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Soffusa d'una luce e d'una poesia veramente divina è questa pagina della vita di Gesù. Egli è all'apogeo della rinomanza e nella pienezza del suo dominio spirituale. L'anima primitiva di quella folla rozza, impulsiva e sincera si accostava alla sua, tratta da una misteriosa influenza, da un fàscino arcano. Solo ch'Egli lo avesse desiderato, sarebbe stato proclamato sovrano d'un regno terrestre, e avrebbe trovato centinaia d'umili schiavi, d'adulatori, di cortigiani, d'amiche belle e superbe, dolci e umili dinanzi a Lui. Ma Gesù non volle. Venuto per compiere una celeste missione, per additare agli uomini la vera via, per consolare il dolore e addolcire la morte di una divina speranza, per abbattere la vanagloria; la prepotenza, ed esaltare l'umiltà e la semplicità, nulla volle per sè di materiale e dì terreno. Non sui gradini addobbati di porpora d'un trono fiancheggiato da armigeri e da cortigiani, volle Egli scendere per parlare al popolo, ma su un verde monte, sotto il libero azzurro cielo d'Oriente, solo, inerme, senza ori nè gemme nella sua candida tunica, simbolo di purezza e di austerità. E sulla cima della collinetta aprica, tra i fiori silvestri che gli accarezzavano i piedi, i rami degli arbusti che proteggevano il biondo capo divino aureolato di luce, Gesù di Galilea esaltava e benediceva il pianto, la povertà la giustizia, la misericordia, la pace. E la folla attonita, più stupefatta che convinta, ascoltava il nuovo verbo del nuovo oratore. Verbo così diverso da quello tante volte ascoltato, tendente a blandire i loro vizi, a insegnare a sfuggire alla sofferenza, ad acquistare ricchezze e piaceri, a godere la vita fosse pure a prezzo della violenza e del male altrui; oratore così dissimile dai greci e dai romani, questo risvegliatore di coscienze che diceva semplici e disadorne parole, spoglie d'ogni retorica, dirette ai cuori.
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Gesù Gesù Oriente Gesù Galilea
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