Non si lavora alla domenica, o almeno non si dovrebbe lavorare in ossequio alla legge sul riposo festivo: si approfitta ancora della domenica per il divertimento e lo svago, ma chi pensa più a santificare il giorno santo, il giorno del Signore? A santificarlo, non solo con la preghiera sincera e raccolta, ma con qualche opera di bontà che vale ancor più dell'adorazione passiva? La Messa, sì, ascoltiamo la Messa, ma basta osservare il contegno della maggioranza delle persone adunate in chiesa per convincersi che quell'atto, quel rito, non ha maggior importanza e significato per esse, della colazione o della lettura del giornale. Anzi... Si chiacchera, si sorride, si dà convegno alle amiche, si osservano i nuovi abbigliamenti, si fa il programma della giornata, mentre dall'altare, il sacerdote, in ogni atto del quale è un simbolo augusto, ricorda il dramma divino della Passione, e congiunge la terra al cielo.
Ma chi se ne avvede? Ben poche fra quelle signore e quelle fanciulle hanno seco un libro che serva loro di guida e tenga la loro mente legata all'altare nella sfera della meditazione e della preghiera. Quasi tutte subiscono quei venti minuti d'immobilità nella penombra d'una chiesa, come un dovere noioso da cui si liberano in fretta con un segno di croce al primo accenno della fine. E tornano nella vita attiva, che le riprende, al rinchiudersi delle pesanti porte dall'alto dei gradini, tornano alle intime gioie, alle intime pene, alle inevitabili lotte, agli obblighi consueti, senza che un raggio di luce abbia potuto filtrare dall'infinito a rischiarare la loro mente e il loro cuore: senza che un nuovo zampillo di forza fresca e nuova abbia potuto aprirsi la strada fra le aridità dell'anima muta, immobile.
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