Secondo questa idea, la vera morte, la morte che separa, è meno la morte corporale che la morte spirituale, meno la separazione dell'anima dal corpo che la divisione dalla verità e dalla virtù. Si può essere più vicini attraverso ad ostacoli immensurabili, che abitando sotto lo stesso tetto: meno separati dalla morte che dal male vivere, è partecipare alla vita eterna, che è Dio, e come è una vita invisibile ed immortale, tutto ciò che vi partecipa è perfettamente unito.
«Così, Dio ci permette, ci comanda, anzi, di essere in comunione eletta con tutti coloro che ci hanno preceduti nell'eternità: di aggiungere la nostra volontà alla volontà loro: le nostre preghiere alle loro preghiere: in certa guisa, le nostre mani alle loro mani, per accoglierci tutti, vivi e morti, nel suo paterno seno. Noi sappiamo che Egli accoglierà le nostre preghiere, le nostre opere buone quaggiù, in compenso delle mancanze di quelli tra i nostri fratelli che errarono e stanno espiando lontani dalla gioia celeste; noi sappiamo anche che Egli accoglie, per noi e per loro, le preghiere e i meriti degli eletti che sono beati e affrancati per sempre».
Le buone opere e la preghiera sono, dunque, il filo invisibile e pio che ci congiunge ai nostri Assenti diletti: sono il luogo di convegno delle anime che l'ombra della Morte non può separare se non come una caligine densa che impedisce la vista, ma non l'intesa spirituale, intima e dolce. Scriveva Sant'Agostino: «La pompa dei funerali, la folla che li accompagna, la cura del seppellimento, il lusso delle tombe, possono ben consolare in certo modo i superstiti, ma non giovano ai morti.
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