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      2. - Il "tu devi" è un giudizio di constatazione e non può essere altro. Dicendo "tu devi" io non posso intendere che l'una o l'altra di queste due cose: o "tu senti dentro di te qualchecosa che ti spinge, senti di essere obbligato a non fare o a fare"; oppure quest'altra: "c'è una volontà che ha il potere di obbligarti". Nel primo caso si fa appello alla coscienza; a uno stato o a un fatto di coscienza che esiste o si suppone che esista; nel secondo caso si fa appello a un potere, che parimenti o esiste o si ammette che esista. Ma nell'uno e nell'altro caso nessuno sforzo dialettico può ricavare l'obbligo dalla natura della cosa comandata o proibita; nessuna costruzione dottrinale può far esistere, se non esiste già, né quel fatto di coscienza, né questo potere.
      Si dirà che v'è un altro senso. È vero; ma un senso improprio. "Tu devi" può voler dire: "È giusto che tu faccia; è giusto che ti senta obbligato a fare, o che ci sia chi ti obbliga". Ma se vuol dir questo, l'espressione è equivoca. Che sia giusto il fare e che sia giusto l'obbligo di fare (quando questo fare sia già sentito come un obbligo) si raccoglie dal contenuto, non dal tono del comando; e non basta a porre l'obbligo: lo giustifica dato che ci sia, e potrà far desiderare che esista, dato che non ci sia. Ma porre le ragioni che giustificano l'obbligo, non è porre in essere la forza o il potere o l'impulso (con qualunque nome si chiami) che obbliga. Ed è cosí vero che le due cose sono diverse e non confondibili tra di loro, che non si può ridurre l'una all'altra senza togliere una delle due.


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La dottrina delle due etiche di H. Spencer e la morale come scienza
di Erminio Juvalta
pagine 87