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      In questo caso possono valere l'osservazione notissima del Mill e la ragione colla quale la conforta; che, certo, non avrebbero valore nel primo caso20.
      Ma anche lasciando questo aspetto della questione, non bisogna dimenticare che appunto perché il piacere puro è il correlato subiettivo dell'adattamento completo, la medesima condizione di una condotta totalmente piacevole, - per le ragioni dette a proposito dell'indeterminatezza nel numero e nella specie dei fini, rispetto ai quali l'adattamento potrebbe essere raggiunto - può concepirsi attuata non in una sola ma in piú forme di vita fra di loro diverse; e resterebbe sempre da trovare un criterio comparativo della desiderabilità, o da ammettere che tutti i tipi di vita, per i quali si concepisce possibile una conciliazione fra i tre ordini di fini (anche se la conciliazione fosse ottenuta allo stesso modo che nelle società animali, cfr. la nota qui sopra [nota 19]), siano ugualmente desiderabili. Il che importerebbe la legittimazione a pari titolo di forme di condotta fra di loro diverse e anche opposte; e si dovrebbe ricavare d'altronde che dal piacere puro il fondamento della legittimazione.
      E qui tocchiamo un argomento il quale si allarga fuori del campo particolare della dottrina dello Spencer e riguarda nello stesso tempo una questione piú generale: la natura del fine.
     
      6. - Siccome il carattere che si richiede nel fine assunto a giustificare le norme morali è, come s'è ripetutamente detto, quello della universale e preminente desiderabilità sopra ogni altro, si pensa che esso debba essere il fine dei fini, il fine ultimo e supremo; uno stato definitivo, oltre il quale, e al di là, non ci sia piú nulla da desiderare e da cercare.


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La dottrina delle due etiche di H. Spencer e la morale come scienza
di Erminio Juvalta
pagine 87

   





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