O si valuta la soddisfazione secondo i desiderî cui corrisponde, e allora ciò che distingue un desiderio dall'altro non è la soddisfazione ma l'oggetto a cui il desiderio si rivolge; non l'effetto soggettivo gradevole, ma le condizioni che lo producono, non è il godimento del bene, ma il bene.
7. - Ora è qui che si nasconde l'equivoco: nell'identificare il bene col piacere; il fine, cioè l'ordine di effetti che costituisce l'oggetto del desiderio, collo stato soggettivo che è il godimento (quando ci sia) del fine raggiunto. È bensí vero che un bene di cui si concepisse che nessuno mai potesse godere in nessun modo, non avrebbe valore di bene; ma è non meno vero che un godimento del quale non si sapesse assegnare nessuna causa o condizione o mezzo atto a produrlo, non potrebbe mai essere proposto o assunto come scopo di un'attività qualesivoglia. Ora quando si parla di un fine desiderabile sopra ogni altro al quale sia ordinata la condotta, non si può intendere che un bene, il quale sia bensí, direttamente o indirettamente causa o mezzo o condizione di godimento, senza di che non sarebbe bene; ma che non può consistere nel godimento stesso, ma in un certo effetto o ordine di effetti determinabile e possibile, che possa costituire l'oggetto di una ricerca attiva, cioè di una certa condotta21.
Senonché bisogna evitare anche qui lo stesso equivoco che conduce a riporre il fine nella felicità o nel piacere; l'equivoco che questo effetto o ordine di effetti debba costituire un fine ultimo, uno stato definitivo, al di là del quale non siano assegnabili altri fini.
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