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      L'analisi ci ha dunque portato a queste conclusioni: a riconoscere che il limite dell'evoluzione, l'adattamento completo, la massima felicità, né fornisce un criterio di determinazione delle norme, né basta come principio di giustificazione; a riconoscere la legittimità del concetto, che bisogna assumere come fine un tipo ideale di società; e a stabilire le esigenze fondamentali, alle quali questo tipo deve soddisfare.
      Ed ora è facile vedere per quali ragioni il tipo sul quale in realtà lo Spencer ha modellato la sua società giusta non soddisfaccia a queste esigenze.
      CAPITOLO OTTAVO
     
      IL TIPO DI SOCIETÀ GIUSTA DELLO SPENCER
     
      9. - In un articolo di risposta ad alcune critiche mosse ai dati dell'Etica lo Spencer polemizzando col prof. Means cosí si esprimeva a proposito del modo di intendere la giustizia: "A molti sembra ingiusto che la dura fatica di un bifolco gli faccia guadagnare in una settimana meno di quanto un medico guadagna facilmente in un quarto d'ora. Molti sostengono essere ingiusto che i figli del povero non possano avere i vantaggi dell'educazione che hanno i figli del ricco. Ma queste deficienze nelle quote di felicità che alcuni ritraggono dalla cooperazione, siccome derivano da ereditata inferiorità di natura, o da inferiorità di condizioni in cui i loro antenati inferiori sono caduti, sono deficienze colle quali la giustizia, come io la intendo, non ha nulla che fare. L'ingiustizia che trasmette alla discendenza malattie e deformità, l'ingiustizia che infligge alla prole le conseguenze penose della stupidità e della cattiva condotta dei genitori, la ingiustizia che costringe quelli che ereditano delle incapacità, a lottare colle difficoltà che ne derivano, l'ingiustizia che lascia in relativa povertà la gran maggioranza, le cui facoltà, di ordine inferiore, apportano ad essi scarsi profitti, è una specie di ingiustizia estranea alla mia tesi".


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La dottrina delle due etiche di H. Spencer e la morale come scienza
di Erminio Juvalta
pagine 87

   





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