Può essere vero (e non è da discutere qui) che l'essere o no un ordine di effetti desiderabile (ossia, in ultimo, l'essere o no presenti ed efficaci nella coscienza umana certi bisogni, desideri, aspirazioni, credenze), sia un portato necessario della natura stessa delle cose e dell'uomo, e che le tendenze umane si siano, rebus ipsis dictantibus, modellate cosí da condurre a riconoscere nella osservanza delle leggi naturali un valore di giustizia e di bontà; ma anche in questo caso non è la naturalità, che ne fa ammettere la giustizia e la bontà, ma è la loro, diretta o indiretta, desiderabilità. Onde per questo rispetto nulla vieta che si concepiscano possibili, almeno teoricamente, piú Etiche diverse; possibile, per esempio (sebbene l'accoppiamento esplicito dei termini ripugni) un'Etica dell'ingiustizia, quando si assuma come postulato la preferibilità di una comunione sociale in cui una parte non abbia che diritti e un'altra non abbia che doveri. Benché allora l'Etica si sdoppierebbe in due Etiche diverse, anzi opposte: l'Etica degli uomini-fini e l'Etica degli uomini-mezzi; o, per usare le parole del Nietzsche, la Morale dei padroni e la Morale degli schiavi; e la medesima condotta sarebbe, seguita dagli uni, giusta, seguita dagli altri, ingiusta.
Che una "giustizia" di questo genere ripugni alla psiche del socius per una ragione analoga a quella per la quale ripugna alla psiche dell'uomo logico ammettere che un rapporto tra due cose o fatti sia vero per gli uni e falso per gli altri, è credibile; (sul presupposto di quella ripugnanza, si fonda, io credo, la giustificazione etica della coazione e delle sanzioni). E certamente rimane aperto qui un campo ulteriore di indagini intorno ai problemi che riguardano il come e il perché il postulato che assumiamo possa e debba essere accettato; e se alla esigenza che esso esprime si possa o si debba assegnare un ufficio, e quale, nella interpretazione totale del mondo, dell'uomo e della storia.
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