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      Del resto, se può parere nuovo il problema, a cui dà luogo - quando si fa piú aperta e manifesta - la pluralità dei criteri, non è nuova questa pluralità.
      Anzi, forse non vi è sistema, per quanto vi domini potente lo sforzo logico della coerenza, che non nasconda sotto l'unità, apparentemente raggiunta, del criterio supremo, una piú o meno larga e profonda pluralità o almeno dualità di contenuto.
      Per non ricordare con Aristotele la duplicità di felicità e virtù - ben vivere e ben fare - e per lasciare l'antica e non mai del tutto superata dualità di vita attiva e di vita contemplativa, l'unità reale di criteri nella valutazione della condotta non è raggiunta se non in apparenza, nella stessa morale teologica cristiana; la quale, mentre non rinunzia, e non può rinunziare, a regolare la condotta umana anche nel rispetto della vita terrena finita, si sforza poi invano di ricondurre i precetti che regolano questa al medesimo criterio di valutazione che è suggerito o imposto dal contenuto soprannaturale del fine che la giustifica. E il distacco logico inevitabile tra il fine invocato a giustificare le norme e il criterio usato a determinarle, è dissimulato ma non superato, nell'unità della rivelazione o della intuizione religiosa.
      Perfino nell'età del razionalismo, nella quale l'unità di natura e l'identità di doveri e di diritti di tutti gli uomini è affermata col massimo di consenso e di calore, indipendentemente da ogni particolare dogmatismo confessionale, l'unità della valutazione morale si può dire raggiunta soltanto perché se ne restringe la considerazione al campo propriamente etico-giuridico, e si trascura o si lascia nell'ombra la parte piú specialmente personale e che tocca gli aspetti e le forme della vita interiore.


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I limiti del razionalismo etico
di Erminio Juvalta
Einaudi Editore Torino
pagine 59

   





Aristotele