E i detrattori non riescono a formulare neppure una sentenza di condanna che abbia, non si dice un valore, ma un significato quale si sia, senza servirsi di quella ragione che coprono di contumelie, e che presta pure la sua assistenza, con divina larghezza, anche a chi la bestemmia.
Dal che parrebbe di dover ragionevolmente concludere che della ragione non si può fare a meno, in materia di morale piú che in qualsiasi altro campo; ma che non si può trovare in essa la sorgente delle valutazioni morali.
E tuttavia non solo fu - nell'età aurea del razionalismo - ma è tuttora largamente sostenuta ed accolta, non senza che la tenacia degli sforzi abbia un profondo significato, l'idea di cercare nella ragione anche ciò che la ragione non può dare; e di riferire a lei non soltanto l'esigenza della coerenza, dell'unità, e quindi di leggi, di criteri e massime, ma anche di certe leggi e di certi criteri, piuttosto che di leggi e criteri diversi.
Ma l'idea è illusoria. E l'illusione sta in ciò essenzialmente: nel credere che la ragione obblighi ad ammettere non soltanto certi giudizi, dato che se ne accettano certi altri, certe conseguenze, se si accettano certe premesse; ma obblighi senz'altro ad accettare certi giudizi: quei giudizi stessi che fanno da premessa; che «esser ragionevole» voglia dire non soltanto osservare le leggi della logica, rispettare quei principi logici senza dei quali non è possibile nessun ragionamento e nessun «uso della ragione», ma voglia dire essere obbligati a riconoscere "certe verità", ad ammettere certi principî; principî non logici o formali, ma materiali; dati o postulati che facciano da sostegno al ragionamento, e comunichino la loro certezza ai giudizi che se ne ricavano.
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