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      Ma chi o che cosa mi obbliga ad ammettere questo valore del pensiero? E perché cadrei nell'assurdo se lo negassi? Forse perché con ciò diminuisco o nego un valore che è anche mio? Sarebbe dunque il rispetto e la stima di sé un principio logico? E la despectio sui del Geulinx contiene dunque una contraddizione in termini?
     
     
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      Se si incalza che il giudizio sulla inerenza all'uomo di proprietà o doti che mancano al cane è di evidenza oggettiva e che riconoscere un maggior valore all'uomo che al cane è la stessa cosa che riconoscere all'uomo una maggior realtà, cioè una maggior perfezione, è facile avvertire che in questa identificazione si assume appunto ciò che è in questione: che la perfezione o il pregio delle cose e delle proprietà delle cose sia accertata o accertabile teoreticamente come la loro esistenza e appartenenza; mentre basta una non lunga riflessione per accorgersi che il giudizio sul pregio e sul valore o il «grado di perfezione» di qualsiasi ente o proprietà implica il riferimento a una gerarchia, a un ordine, a un disegno, cioè in ultimo, a un modello, e quindi a un fine attuato o da attuarsi. E, che possa o debba valere come fine, che meriti di valere, non è un giudizio in realtà; tanto che il negargli questo valore non implica negare sia la realtà, sia la possibilità, sia alcuna delle proprietà dell'ente; cosí come negare alla sfera il valore di forma perfetta che le davano i peripatetici, non implicava per Galileo la negazione né della costruibilità della sfera, né di alcuna qualesivoglia delle sue proprietà geometriche.


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I limiti del razionalismo etico
di Erminio Juvalta
Einaudi Editore Torino
pagine 59

   





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