In realtà il giudizio della ragione è il frutto di un processo che è bensì esso razionale, ma che si fonda su dati di valutazione morale. Il processo reale, palese o nascosto, è, in breve, questo:
La coscienza morale dice all'uomo quale è la condotta buona, la condotta che è giusto che segua, che deve seguire.
La ragione mostra (non cerchiamo se con regressione del tutto rigorosa e univoca, ma in ogni caso adempiendo un ufficio che è propriamente e incontestabilmente suo), mostra, dico, che quella condotta è ordinata a certi effetti, raggiunge un fine che è perciò - dal punto di vista deduttivo e giustificativo dell'esigenza razionale che vuole l'unità e la coerenza - il Bene morale; e poiché non sarebbe morale se non valesse come sommo, questo Bene deve essere riconosciuto e posto come supremo.
Non è dunque perché la ragione lo giudica supremo che esso vale come fine morale; ma è perché esso deve valere come fine morale, deve adempiere a questo ufficio nella unità logica del sistema, che la ragione gli riconosce questo valore di fine supremo. Il che viene a dire che il titolo sul quale il giudizio della ragione è fondato, il criterio seguito nella scelta è il carattere che esso assume, o è capace di assumere, di fine morale.
Riconoscergli questa attitudine, questa capacità a dar ragione dei giudizi morali, a servire ad essi di principio di giustificazione, cioè di dato dal quale razionalmente si ricavano le norme, equivale a riconoscerlo come fine morale; e assumerlo come tale, equivale ad assumerlo come supremo.
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