CAPITOLO QUINTO
«MASSIME RAGIONEVOLI» E «PRINCIPÎ RAZIONALI»
Se i giudizi primari di valore, i criteri ultimi, attorno a cui si raccolgono e ai quali si subordinano le valutazioni, sono assunti e non posti dalla ragione, come si può parlare - e manifestamente se ne parla con fondamento - di massime di condotta sulle quali tutte le persone «ragionevoli» vanno d'accordo, e il dissentire delle quali è tenuto come segno patente di irragionevolezza? Che significa ciò se non questo per l'appunto, che basta per riconoscere la bontà di quelle massime, essere ragionevoli, cioè dunque, che basta la ragione a giustificarle?
Pare infatti di sí, a prima vista, e si può anche entro certi limiti accettare dall'uso questa forma di espressione senza inconvenienti; ma ciò non toglie che l'espressione sia impropria e che l'osservazione notissima e comunissima prova qualchecosa d'altro; un fatto assai notevole, e a cui si collega una considerazione d'importanza capitale per il modo d'intendere i rapporti tra valori morali e valori di altre specie: che le massime delle quali si discorre, esprimono o valutazioni primarie elementari, di cui è superflua, perché è comune e manifesta, ogni giustificazione, oppure delle valutazioni nelle quali si incontrano criteri assiologici tra loro diversi. Sono queste valutazioni mediate o indirette che si possono ricondurre cosí all'uno come a ciascun altro dei criteri suddetti; quasi ponte di passaggio a cui mettano capo strade di origine diversa, o linea di intersezione di piani diversi.
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