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      E cosí si passava da una ragione fatta soggetto di meriti non suoi, a una ragione fatta oggetto di biasimi non meritati. Ma la ragione è al di là di quei meriti, e di questa imputazione.
      La ragione ha un compito inestimabile; necessario, anzi imprescindibile, ma arduo e non finito mai; di costruire incessantemente l'unità della persona; l'unità dell'uomo teoretico, l'unità dell'uomo pratico e l'unità (a cui bisogna pur mirare, come miravano gli antichi) dell'uomo teoretico con l'uomo pratico. Ha un ufficio di continua eliminazione e ricostituzione; un ufficio nella vita spirituale della persona analogo, direi, a quello che ha nella vita fisica la circolazione del sangue. Ma non si può pretendere di ricavare da essa il principio dell'esistenza, ossia il dato o i dati attorno ai quali si possa affermare la realtà obbiettiva di ciò che è oggetto del sapere; né si possono trovare in essa, o ricavare da essa i criteri sui quali si fonda la valutazione e attorno ai quali la ragione unifica i giudizi di valore.
      Come non dà essa la certezza dell'esistenza, cosí non dà essa la coscienza del valore.
      CAPITOLO SESTORAGIONE E LEGGE
     
      Resta un'ultima via, la terza (vedi Cap. II); la piú audace e radicale. È la ragione che pone la legge morale; ma perché la ponga non è necessario che ricorra a nessun dato o principio materiale, sia stabilito o fondato su verità di ordine teoretico o dimostrabili o evidenti per sé, sia cercato in un fine a cui possa ricondursi il contenuto della legge.
      È la esigenza razionale che si pone come legge, senza che a costituirla sia necessario fare appello al valore di qualche oggetto o risultato dell'azione e dare a quel qualsiasi contenuto materiale che venga assunto dalla legge, un valore morale pur che sia, all'infuori da quello che gli viene dalla forma di legge che lo impronta.


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I limiti del razionalismo etico
di Erminio Juvalta
Einaudi Editore Torino
pagine 59