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A una conclusione del medesimo genere riesce per altra via la difesa che del formalismo kantiano fa il Martinetti in una sua memoria densa e vigorosa(21) nella quale egli si sforza di salvare il carattere formale della legge pur riconoscendo la necessità di un contenuto; e lo salva facendone la forma, non di un contenuto sensibile, ma di un contenuto soprasensibile.
Ma questa soluzione urta contro nuove difficoltà inerenti alla concezione di questo fine trascendente o di questo mondo soprasensibile che è l'oggetto proprio della legge morale.
Perché delle due l'una: O si ammette che di questo mondo soprasensibile non possiamo affermare altro, se non appunto questo: che esso è il mondo nel quale trova piena attuazione la legge morale, il mondo nel quale la legge morale vale come legge naturale, senza che se ne diano altre determinazioni di sorta. Ovvero questa realtà ha altre determinazioni, attua un certo ordine di rapporti, che non possiamo conoscere speculativamente, ma di cui possiamo tuttavia essere certi e affermare e riconoscerne la perfezione, la bontà, il valore.
Se si ammette la prima tesi, l'affermare una realtà soprasensibile di cui non possiamo dir altro se non che è il contenuto della forma morale, non ci dice in che consiste questo contenuto, e non ci fa uscire da questa forma. Dice che vi è un mondo conforme alla legge morale, ma non dice quale sia, come sia fatto questo mondo. Non ci illumina dunque, su questo punto, piú di quel che valga a far capire quali sono le disposizioni di una legge, il pensare che questa legge sia perfettamente osservata.
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Martinetti
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