Questa constatazione è la riprova della precedenza affermata.
Il carattere distintivo, col quale primamente si presenta alla riflessione il precetto morale e che si impone come essenziale, non è quello di universale giustizia, ma di universale obbligazione. Morale è ciò che è obbligatorio. Sul contenuto materiale dell'obbligo non cade di solito discussione; tacitamente si accetta nelle linee essenziali ciò che vale come tale nel seno della società. Ed è da questa accettazione tacita della norma in effetto vigente o richiesta come norma morale, che nasce quella preoccupazione, che è il "peccato originale" della speculazione etica in genere.
Ciò che importa è la validità dell'obbligo; la quale è data dalla credenza nella validità obiettiva dei dati che lo pongono. Cosí la dottrina morale non ha per suo primo e proprio oggetto la ricerca del fine, né la determinazione delle norme (le quali sono già date e accettate), ma la derivazione delle norme dalle credenze sulle quali la coscienza dell'obbligo si fonda; ossia il fondamento dell'obbligo. E quando appare un'esigenza della moralità non solo che la norma sia osservata, ma che sia riconosciuta giusta, l'affacciarsi di questa esigenza non fa porre il problema nella forma in cui dovrebbe logicamente essere posto, ma nella forma suggerita da una preoccupazione dello stesso genere di quella che ispira il problema precedente. Allo stesso modo che si assume come assolutamente obbligatorio ciò che vale come tale nella società a cui si guarda, si assume che debba valere come giusto ciò che ha già valore obbligatorio.
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