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      Concludendo, sia che muova da dati oggettivi, sia che muova da dati soggettivi, il procedimento per il quale si cerca di identificare il giusto coll'obbligatorio, soddisfacendo in una a due esigenze diverse, nel fatto non riesce che ad una soluzione puramente verbale. Ciò che fa essere o riconoscere una norma giusta rimane, malgrado ogni sforzo, qualcosa di diverso da ciò che fa essere o riconoscere una norma obbligatoria.
      E tuttavia persiste la tendenza invincibile a identificare, sia la "ratio essendi" sia la "ratio cognoscendi" del giusto e dell'obbligo; la quale nasce da ciò che il giusto appare alla coscienza come qualche cosa che deve essere obbligatorio.
     
      3.
     
      Ed ora bisogna esaminare questa esigenza, in forza della quale i due termini pur non potendo esser ridotti l'uno all'altro, si affermano inscindibili.
      Importa richiamare in breve come sorga, e in che modo avvenga che essa sia concepita come caratteristica della norma giusta. L'esigenza interna che la norma obblighi si lega col carattere riconosciuto di giustizia, in forza di una condizione: l'esistenza (data nella esperienza generale e comune) di motivi che ne impediscono limitano o contrastano l'osservanza. E questa condizione di fatto, per le ragioni già dette, è considerata come naturale e inevitabile, come insita necessariamente nella natura umana. Ma quando la derivazione di un fatto da un altro dipende da una condizione che è data o si pensa sia data costantemente e invariabilmente, avviene che questa condizione, sempre presente, è taciuta e come sottintesa; e la derivazione di quel fatto da un altro è presa come costante e necessaria incondizionatamente; come dipendente unicamente da quest'ultimo, mentre è determinata da questo sotto una determinata condizione.


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Prolegomeni a una morale distinta dalla metafisica
di Erminio Juvalta
Einaudi Editore Torino
pagine 61