Ma questa questione non ha per lo scopo del presente capitolo che una importanza secondaria.
Anche se si ammettesse la necessità di considerare quel dualismo come inevitabile, non è ancora legittimo, ed è ciò su cui importa insistere, il secondo passaggio; quello che si fa quando si concepisce l'esigenza dell'obbligo come connesso colla giustizia incondizionatamente, come "essenziale" alla giustizia.
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L'analisi fatta sopra dei procedimenti seguiti nei tentativi di identificazione tra i due termini, mi dispensa da un ragionamento che riuscirebbe in sostanza una ripetizione. L'esigenza dell'obbligo esprime in ultimo il desiderio che la norma giusta sia osservata; è la forma che questo desiderio assume quando si concepisce l'obbligo come necessario all'osservanza. Ora si può bensí, anzi si deve ammettere che il riconoscimento della giustizia non sia soltanto un giudizio logico, uno stato puramente intellettivo, ma anche affettivo e desiderativo, e che quindi riconoscere la giustizia implichi desiderare (con forza maggiore o minore) l'attuarsi di ciò che si riconosce giusto; ma se si fa astrazione dalle disposizioni psicologiche di fatto contrarie alla condotta giusta, il desiderio del giusto non implica piú necessariamente l'esigenza dell'obbligo.
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Ora io penso che questa astrazione non solo si può, ma si deve fare, quando si vuol determinare razionalmente una norma universalmente giusta; dico che non è legittimo porre come carattere necessario della norma giusta l'obbligatorietà; perché, giova ripeterlo, l'esigenza che la norma sia obbligatoria è bensí nell'esperienza comune la caratteristica della giustizia, ma è tale in quanto esprime il desiderio del giusto, non in quanto esprime o constata l'insufficienza di questo desiderio a dare la conformità richiesta, e l'appello ad un motivo incontrastabile che lo sorregga.
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