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      Questa universalità è poi intesa in un senso tanto piú largo quanto maggiore è la ampiezza che il concetto di società assume, via via che ritiene come suoi elementi costitutivi soltanto i caratteri che si considerano come necessari e costanti di una società civile in genere. Ma, pur mutando questo grado di generalità, pur mutando il contenuto concreto, quella domanda si presenta sempre sostanzialmente nella stessa forma: Qual è la ragione per la quale tutti debbono riconoscere come giusta quella certa condotta?
      La risposta a questa domanda può essere data in due modi diversi. Forse l'analisi potrebbe mostrare tra i due una parentela d'origine; ma anche in tal caso sarebbe qui fuor di luogo, perché non necessaria al nostro argomento.
      L'uno consiste nell'assegnare di quel carattere di giustizia una ragione assoluta, ossia nel riconoscere che quella condotta è richiesta da un fine che ha valore per sé, all'infuori e al disopra, non solo della vita finita dell'uomo e della società umana, ma di ogni interesse umano presente o avvenire, di ogni aspirazione che abbia per suo proprio oggetto un appagamento qualsivoglia della coscienza di alcuni o di molti o di tutti gli uomini. È superfluo osservare (senza discuterne qui la possibilità) che una ragione di questo genere deve di necessità fondarsi su dati metafisici; solo aggiungiamo, per scrupolo di chiarezza, tre avvertenze: 1° Che, se si riconosce che una norma morale deve avere valore assoluto nel senso proprio cioè metafisico della parola, si pone già con ciò fuori di discussione la tesi dell'impossibilità di una dottrina morale fuori della metafisica.


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Prolegomeni a una morale distinta dalla metafisica
di Erminio Juvalta
Einaudi Editore Torino
pagine 61