Ora se si riconosce che questa antitesi tra le condizioni reali e le condizioni richieste dalla possibilità di una conciliazione, è, nei limiti dell'esistenza umana naturale e finita, necessaria e inevitabile, si riconosce che, o bisogna rinunziare alla conciliazione, o bisogna cercarla al di là di quei limiti, accordando in modo soprannaturale i termini, che si giudicano in modo naturale inconciliabili; ossia bisogna far appello alla metafisica. Vediamo in breve la prima tesi.
Qualche lettore avrà probabilmente pensato prima ancora di giungere fin qui: "Ciò che si dice intorno alla esigenza di una conciliazione finale tra virtù e felicità, potrà valere finché non si ha chiara coscienza della naturalità delle formazioni etiche e della loro rispondenza alle esigenze della vita sociale, che ne costituiscono la ragione necessaria e sufficiente. Ma non ha piú ragione di essere quando questa coscienza ci sia. Sapere che una condotta è richiesta dal tipo di struttura e di attività di un gruppo sociale, è sapere che quella deve essere la condotta degli individui che ne fanno parte; cioè la condotta buona; la giustificazione sta appunto in questa relazione. La conservazione della vita sociale è il fine; la condotta è buona perché serve a questo fine. Anzi quando si pone come dato, che la condotta tenuta come buona in un certo tempo e luogo è in sostanza la condotta socialmente buona per quel tempo e luogo, è, a dir poco, superfluo, l'andar cercando una giustificazione diversa da quella già assunta nel dato.
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