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      E che valore può mai avere in tal caso il finito in paragone coll'infinito, l'umano in confronto col sovrumano? Che valore possono avere i fini stessi sociali se non quello che viene ad essi dai loro rapporti colla vita infinita? Ora ognun sa che relazioni di questo genere non possono essere in nessun modo dimostrate, ma soltanto affermate. E cosí si ha nella deduzione logica delle norme morali quell'iato, quella soluzione di continuità, la quale spiega come la medesima giustificazione metafisica possa valere in tempi diversi e talvolta nello stesso tempo per norme concrete di condotta non soltanto diverse ma opposte.
      Ché se (come accade, perché la realtà della vita urge e costringe ogni teoria ai compromessi piú strani; sebbene la necessità generi la consuetudine, e la consuetudine veli le assurdità), se dai dati metafisici si deduce soltanto l'esigenza generica della subordinazione sociale, e si assume come criterio per la determinazione concreta delle norme la realtà via via mutabile delle condizioni storiche e delle esigenze corrispondenti, si riesce a questo bivio: O si riconosce che vi è una ragione intrinseca di superiorità o preferibilità di una forma sociale sulle altre; e questa ragione che ne legittima la preferibilità dà alla condotta correlativa un valore che sussiste indipendentemente dal fine soprannaturale. O si riconosce che non vi è questa ragione, perché nessuna ha intrinsecamente, all'infuori della relazione ammessa con quel fine, valore di sorta, e allora ogni forma sociale è per sé indifferente.


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Prolegomeni a una morale distinta dalla metafisica
di Erminio Juvalta
Einaudi Editore Torino
pagine 61