Ma questo processo di astrazione, appunto, come io credo, perché non completo, perché monco e parziale, non riesce a togliere quell'incongruenza.
Anche nelle costruzioni razionali si assumono come universali e costanti, come "essenziali" alla natura della società umana e dell'uomo, alla possibilità stessa astratta della convivenza, esigenze, che, per essere apparse costanti nelle forme di società storicamente piú note del passato, e per essere reali e manifeste nelle società civili presenti, sono pensate come esigenze impreteribili di ogni società, e come tali assunte tacitamente, se non apertamente, nella determinazione della condotta che deve subordinarsi ad esse.
Ora, e nel passato e nel presente le condizioni di esistenza e di organizzazione sociale richiesero e richiedono in effetto non solo quella limitazione ideale dei fini e delle attività dei singoli che è riassunta nel postulato del liberalismo di una uguale libertà per tutti, e che risponde all'esigenza razionale dell'universalità; ma una limitazione diversa; ingenita, per dir cosí, nella struttura stessa di esse società; ed è, come ognuno sa, la limitazione che all'esercizio delle attività e allo sviluppo della personalità umana viene non già dai termini segnati da quel postulato, ma dalla divisione economica delle classi e dall'antagonismo tra società e società. Questa limitazione, che riesce per necessità disuguale, preclude a una parte piú o meno estesa dei componenti la società, una sfera di fini che è aperta a un'altra parte, e rende inevitabile una inferiorità sistematica di una o alcune classi sociali rispetto alle altre.
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