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      Il che è - del resto - naturale. L'esagerazione chiama l'esagerazione; non altrimenti un lavoro costantemente eccessivo e penoso fa pensare come ideale l'inerzia, non l'attività misurata e adeguata.
      Ma comunque e per qualunque ragione, oltre le dette, si formino quei concetti, certo è che l'opposizione, anzi direi, la incompatibilità radicale che rispetto all'esistenza finita si stabilisce tra essi, può essere attenuata ma non tolta, finché sono assunte come essenziali e inevitabili quelle esigenze della vita sociale.
     
      3.
     
      Cosí, adunque, anche le costruzioni che si presentano come puramente razionali, cadono nel medesimo vizio radicale di una duplicità di fini; e vi cadono perché nel determinare la condotta buona sono in modo esclusivo o prevalente dominate dalla preoccupazione, che sta all'origine della speculazione morale: la preoccupazione di ciò che richiede la vita sociale, e non di ciò che richiede la vita degli individui. E cosí invece di cercare, come è in apparenza l'assunto, quale fine possa valere come buono universalmente, per determinare in relazione con esso la condotta, si pone in realtà un fine che non è tale, e poi si pretende che la condotta ordinata a questo fine valga come buona universalmente. Ora se questo processo è dal punto di vista storico e psicologico spiegabile e naturale, non è, dal punto di vista teorico o logico, legittimo. Che si direbbe di un igienista, il quale assumesse come tenor di vita modello quello rispondente alle condizioni di esistenza di un Esquimese, ed elevando a ideale dello stato di salute perfetto la sanità sotto quelle condizioni, pretendesse che le norme relative valessero come norme generali dell'igiene?


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Prolegomeni a una morale distinta dalla metafisica
di Erminio Juvalta
Einaudi Editore Torino
pagine 61

   





Esquimese