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      È perciò che si è affermato piú su esservi in fondo alle costruzioni razionali un difetto di astrazione, che non è, quando si vuol determinare idealmente la norma retta, in nessun modo giustificabile.
      Perché si dovrà, nel determinare il tipo della condotta universalmente buona, astrarre da tutto ciò che nella condotta e nella volontà degli individui vi è di incompatibile con questa universalità e non astrarre anche da tutto ciò che con questa universalità vi è di incompatibile nella condotta della società? E se è legittimo che questa universalità valga come criterio della bontà, perché nell'ideale della condotta buona non dovrà essere rispecchiata l'osservanza di questa esigenza anche da parte della società? Non è non deve essere anche la condotta di questa, il suo modo di agire e di reagire, tutto il complesso delle influenze che essa esercita e all'interno e all'esterno, oggetto di giudizio e di valutazione morale? E se sí, come si potrà considerare quale norma universale della condotta buona quella che esprima la subordinazione a una società la cui condotta non sia buona? cioè insomma assumere come criterio del giusto le esigenze d'una società non giusta?
      Ciò viene a dire che, per avere il tipo della condotta buona, non si può determinare la condotta dell'individuo separatamente da quella della società, o l'inverso; ma bisogna supporre che la stessa massima valga realmente e simultaneamente e per l'individuo rispetto alla società, e per ciascuna società rispetto agli individui e alle altre società. Soltanto a queste condizioni una massima può essere veramente universale e può avere valore universale il fine a cui quella massima appare ordinata.


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Prolegomeni a una morale distinta dalla metafisica
di Erminio Juvalta
Einaudi Editore Torino
pagine 61