* * *
Se si esclude la risposta scettica della impossibilità di una determinazione razionale anche approssimativa (la quale riesce in ultimo alla giustificazione dell'opinione via via prevalente), le risposte possibili sono tre: O le condizioni reali presenti forniscono esse il criterio necessario e sufficiente per determinare in relazione con esse la condotta; ossia si identifica la condotta giusta colla condotta che ha per fine la conservazione dello stato presente e di fatto; e allora o si rinuncia alla giustificazione, come s'è osservato già, o bisogna assumere in forma esplicita o implicita che quello stato è o immutabile o che è per tutti e sotto ogni rispetto il piú desiderabile.
Oppure il criterio è fornito da una idealità, da una aspirazione che oltrepassa il presente e si appunta in una forma di esistenza piú desiderabile; e allora si aprono altre due vie: La condotta dettata da questa idealità, ossia la condotta conforme a quelle condizioni di esistenza - desiderabili sì, ma ideali non reali; future non presenti - è distinta e designata come buona sempre, come la condotta da seguire indipendentemente dalle condizioni in cui deve esplicarsi, dalla realtà presente e premente, e si ha un ideale di condotta utopistica, che si acquieta presso la generalità in un assenso puramente nominale; per il quale tra la dottrina professata a parole e la norma ritenuta realmente e seguita come giusta, non v'è nessuna coerenza.
O finalmente si riconosce che la condotta deve guardare all'avvenire, ma dispiegarsi nel presente; che l'idealità deve additare il fine, ma la realtà fornire i mezzi, e che l'azione rivolta a quel fine deve adeguarsi a questi mezzi; e allora si ammette che per stabilire quale è in certe condizioni reali della società e dell'individuo la condotta relativamente giusta, è necessario determinare come e quanto la realtà discordi dalle condizioni ideali.
| |
|