Infatti la domanda: «Perché dobbiamo noi fare, cioè volere ciò che la coscienza morale ci detta», che è la forma piú larga e indifferenziata in cui il problema si esprime, suggerisce quattro tesi o tipi di soluzione diversi:
I. Considerare i principi e le norme morali come «verità» di cui si cerca il fondamento in una realtà obbiettivamente data alla coscienza.
II. Dimostrare la bontà di ciò che la morale prescrive, cioè derivarne le norme da un fine ossia da un bene o ordine di beni (qualunque ne sia poi la natura) che ne giustifichi l'osservanza.
III. Provarne l'autorità; e cercare di questa autorità il fondamento: a) sia nella storia; b) sia in una volontà distinta dal volere personale e che si impone ad esso.
Ciascuno di questi tipi di soluzione deve essere esaminato piú brevemente che sia possibile, ma esaurientemente.
CAPITOLO SECONDOIL FONDAMENTO CERCATO NELLA REALTÀ
La persuasione che i principi morali, i criteri di valutazione, le norme della condotta, non solo possano ma debbano avere il loro fondamento in un ordine di verità accertabile teoricamente, cioè si possano ricavare da rapporti o leggi validi obbiettivamente, in nessuna altra forma forse appare piú chiaramente che in quella della questione, dibattuta con tanto accanimento, se la morale si fondi sulla scienza o sulla metafisica, e nella natura degli argomenti messi in campo così dall'una come dall'altra parte.
Perché la «scienza» si sforzava di dimostrare che la realtà a cui faceva appello la metafisica era immaginaria o inverosimile, e in ogni caso arbitraria ed incerta, e quindi non poteva su di essa fondarsi nulla di obbiettivamente valido; e la «metafisica» insisteva nel porre in evidenza la relatività, la contingenza, la limitatezza della conoscenza empirica; e l'impossibilità di attingere in essa alcuna verità necessaria ed universale, e perciò una qualsiasi validità né di forma, né di fine, né di doveri.
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Considerare
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