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      Ora una scienza, qualunque scienza, formula dei rapporti, non dà valori; i rapporti possono bensì far attribuire un pregio a qualchecosa, se stabiliscono la dipendenza condizionale e causale di un valore da ciò che, appunto per tale connessione, diventa a sua volta un valore mediato; ma il pròton àksion deve essere già dato, posto, riconosciuto come valore, perché sia possibile qualsiasi giudizio assiologico su ciò che ha relazione con esso.
      Tutte le piú complicate e piú delicate meraviglie della vita non bastano a darle il benché minimo pregio se non si riconosce già come bene o la vita stessa o almeno alcuni dei fini ai quali può esser volta: anzi non sono «meraviglie» se non perché si illuminano di questo valore finale.
      Che la civiltà e la cultura siano da preferire alla barbarie e all'incultura sembra dimostrabile; ed è infatti; ma quando sia ammesso o sottinteso — come accade in effetto — che abbiano piú di pregio o di dignità o di desiderabilità certe facoltà e attività e forme di condotta che certe altre, cioè quando sia già posto e accettato un criterio di valutazione.
      Pare a prima vista una pedanteria. — Non si riconosce infatti da tutti che la vita valga la pena di essere vissuta? e anche quelli che la negano a parole, non sentono nell'istinto profondo smentire la loro negazione?
      Ammettiamo senza discutere, sebbene la cosa non sia così liquida come pare, l'universalità del consenso od almeno dell'istinto. Si tratta qui di vedere se questo apprezzamento della società e della vita, questo riconoscimento di valore è posto, è dato dalla scienza; se questa voce dell'istinto, questa volontà di vivere abbia o no l'autorità che le si attribuisce o suppone.


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Il vecchio e il nuovo problema della morale
di Erminio Juvalta
Einaudi Editore Torino
1945 pagine 103