Non si tratta piú di trovare nella conoscenza della realtà la prova che le nostre valutazioni sono «vere», poiché le valutazioni sono, come espressioni di una esperienza interiore sui generis, valide per sé; ma di sapere se su questi dati valutativi si può costruire una conoscenza oggettiva; se i valori morali siano prova dell'esistenza di certe condizioni e di quali; se sia possibile, non trovare nella realtà il fondamento del valore, ma trovare nel valore il fondamento della realtà. Il problema si aggira sempre in ultimo attorno al medesimo dubbio: se il mondo, la natura, la vita abbiano un significato morale, se l'anima dell'universo guardi al medesimo fine che la coscienza morale; se gli sforzi della volontà buona siano fecondi di frutti durevoli o siano un lavoro di Sisifo, che ogni coscienza riprende faticosamente per lasciare che ciascun'altra rifaccia, destinato in ultimo a cadere pur esso nel nulla, uno sforzo piú grande.
Ma l'atteggiamento è diverso. L'ontologismo metafisico subordinava, almeno nella riflessione consapevole e nella costruzione logica, il giudizio di valore al giudizio di realtà.
Nella filosofia dei valori il giudizio di realtà è subordinato, anche nel processo riflessivo e costruttivo, al giudizio di valore.
Il momento che nell'intellettualismo ontologico era nascosto e inconsapevole, quello della assunzione tacita del concetto di valore nel concetto di realtà, nella filosofia dei valori diventa chiaro e consapevole e si allarga nel tentativo di tradurre il passaggio psicologico in processo discorsivo e di fondare un sistema di verità teoretiche su quella certezza che veramente era ed è il dato iniziale, l'ubi consistam di ogni costruzione etica, sia scientifica o metafisica, progressiva o regressiva, ascendente o discendente: la certezza diretta e intuitiva dei valori morali.
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Sisifo
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