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      Con ciò non si sarebbe dimostrato che ciò che fa il valore morale delle norme consiste nella loro utilità come guida della felicità; ma soltanto che i valori morali sono anche valori eudemonologici; che il contenuto della valutazione morale e quello della valutazione utilitaria coincidono; non mai che il valor morale di un'azione consista nel suo esser mezzo alla felicità.
      Resta fuor di questione (s'intende e deve esser quasi superfluo avvertirlo) la considerazione dell'efficacia pratica o esecutiva; se sia o no piú persuasiva o piú impulsiva l'una o l'altra valutazione. Si può anche ammettere, senza soverchio sforzo immaginativo, che sia per lo piú la edonistica; ma ciò non prova affatto che questa si confonda o si identifichi con la valutazione morale, o valga a sostituirla.
      Dimostrare a un giudice che il dar sentenze imparziali è il modo piú sicuro di far carriera, potrebbe essere, in ipotesi, un mezzo efficace a promuovere l'imparzialità. Ma nessuno sognerà di far consistere l'onestà del giudice nel suo desiderio di far carriera.
      Ma in realtà, come tutti sanno, il contenuto della felicità non è determinato, né determinabile se non ad arbitrio(4); e solo significato comune e costante del termine finisce per essere quello di appagamento dei desideri, di soddisfazione, di piacere, o di liberazione dal dolore, che si pensa doversi trovare nel raggiungimento di ogni fine.
      E la diversità persiste e risorge nella molteplicità varia e contrastante dei desideri e dei piaceri, e non basta raccoglierli sotto uno stesso nome per ridurli a unità e farne un unico fine.


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Il vecchio e il nuovo problema della morale
di Erminio Juvalta
Einaudi Editore Torino
1945 pagine 103