E se può sembrare all'anima religiosa che esso sgorghi da questa idealità e se ne alimenti, la ragione sta in ciò, come si è accennato: che al mistico riesce impossibile di concepire altrimenti che perfetto, cioè perfetto anzitutto e soprattutto moralmente, l'Essere che adora, e nel quale vede non un bene, ma ogni bene, il Bene.
Ma la perfezione che vede in lui, a quale stregua è giudicata tale? L'ideale che trova realizzato in quello non è foggiato secondo un criterio di valutazione morale la cui validità è accettata e riconosciuta all'infuori dell'atteggiamento religioso della devozione a Dio? Anzi non è quella perfezione morale che lo fa degno di adorazione?
Un mistico a cui si domandasse se concepisce Dio perfetto perché lo adora o se lo adora perché è perfetto, forse non saprebbe rispondere, e troverebbe che la domanda scompone quel che è per lui uno e indissolubile. Ma ciò non toglie che la devozione e la adorazione non costituiscano per sé i pregi e le doti di ciò che è adorato; e nessuna coscienza potrebbe trovare in Dio i valori morali se non li conoscesse già come valori, e non li distinguesse come morali dai valori di altro genere.
Questa priorità e questa indipendenza, questo sussistere per sé, questa selbständigkeit della valutazione morale, appare confermata dalle discussioni sul valore delle religioni, il cui termine di confronto piú consueto e piú decisivo è dato dal rispettivo contenuto morale. Il che implica manifestamente che questo contenuto possa esser giudicato e apprezzato per sé. E il prevalere sempre piú largo delle preoccupazioni morali nelle controversie di indole religiosa (per esempio la lotta intorno al modernismo) mostra che la validità del criterio morale è tenuta come certa di una certezza che è data e riconosciuta indipendentemente da ogni valutazione religiosa.
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