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      Ancora: gli altri valori soffrono di essere commisurati tra di loro e posposti ai valori morali senza perdere la loro qualità di valori, cioè senza che questo posporli smentisca il loro riconoscimento. I valori morali invece non soffrono di essere posposti senza essere smentiti; perché non sono morali se non a patto di essere sovraordinati a ogni altro valore, e in quanto esprimono non stati singoli, ma modi di essere, non atti, ma modi di operare posti come costantemente normativi della volontà.
      Ne segue che riconoscere un valore morale implica approvare, se si rivela come dato, esigere, se è concepito solo come possibile o potenziale, l'atteggiamento costante della volontà col quale esso valore è posto; costante, cioè tale che si attui ad ogni presentarsi della stessa alternativa. Perché non si può pensare che cessi di esser voluto senza pensare che cessi di esistere e che sia posto contro di esso la sua negazione, il non-valore, per atto di quella stessa volontà il cui atteggiamento positivo è un'esigenza implicita nel riconoscimento di quel valore come morale, cioè è idealmente postulato nella valutazione.
      Perciò, se accade che chi ritiene valore morale, poniamo, la sincerità, si sia lasciato trascorrere a una menzogna, l'atto presente e momentaneo del mentire appare a lui come un rinnegamento del suo proprio volere; il quale rimane potenzialmente e conativamente morale pur nel momento della volizione singola che gli si oppone e lo nega. Perché il valore non cessa di essere sentito e riconosciuto come morale, cioè come valore che esige per essere tale di essere attuato ossia voluto costantemente(9).


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Il vecchio e il nuovo problema della morale
di Erminio Juvalta
Einaudi Editore Torino
1945 pagine 103