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      Un giudizio morale che non è valido se corrisponde alla valutazione di n-1 coscienze, diventa valido se quell'una cambia parere. È il criterio della democrazia politica; di cui non si discute ora il valore come criterio politico (cioè come criterio di preferenza tra i mezzi, non di giustizia tra i fini); ma del quale nessuno riconosce sul serio il valore di criterio morale supremo; per la stessa o analoga ragione per cui il buon senso non è il senso comune, e il discorrere concludente di un solo vale piú che il chiacchierare sconclusionato di cento; e per la quale la maggioranza dei votanti può bastare a fare una legge ma non a farne riconoscere l'equità.
      Ché se l'autorità morale della valutazione collettiva vale in quanto essa esprime l'unanimità dei singoli, e perciò serve a distinguere la sfera piú o meno ampia di valutazioni in cui tutte le coscienze concordano, da quelle sulle quali l'accordo sparisce, si riconoscono due cose: 1° che per ciascuna persona non vi può essere autorità morale superiore a quella della propria coscienza; 2° che la distinzione la quale può essere di importanza capitale per i rapporti tra morale e politica, cioè tra norme etiche e norme giuridiche, non ha valore morale se non a patto di essere fondata essa stessa su una distinzione di valore apprezzata o apprezzabile (non importa ora cercar come) dalla coscienza morale personale che la deve riconoscere.
      Manca dunque sempre il qualche cosa di diverso dalla coscienza personale, a cui dovrebbe ricondursi l'autorità della coscienza collettiva.


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Il vecchio e il nuovo problema della morale
di Erminio Juvalta
Einaudi Editore Torino
1945 pagine 103