E in questo caso al problema della fondazione storica e della fondazione consensuale della valutazione morale si sostituisce l'altro problema: Quali sono i valori morali nel cui riconoscimento l'autorità dell'induzione storica e l'autorità del consenso universale coincidono con quella della coscienza personale?
E in che cosa differiscono dai valori morali per i quali manca tale accordo?
È legittima, e perché ed entro quali limiti, una subordinazione (che in ogni caso non potrebbe né in fatto né in diritto estendersi all'atteggiamento interiore, ma valere soltanto rispetto alle manifestazioni esteriori) dei secondi ai primi?
E del pari si trasforma il problema sul fondamento del dovere.
Il dovere non riguarda, come s'è visto, il valutare, ma il conformare la condotta alla valutazione; e suppone il rapporto tra due volontà distinte o concepite come distinte, tra un volere presente e momentaneo che si rivela nella volizione attuale e concreta, e il volere dell'io persona, il Volere valutante o normativo, che le dà unità. Se l'io momentaneo o contingente è dominato totalmente e assorbito dall'io persona, e il Volere operante si identifica col Volere valutante, il dovere si attenua e svanisce perché sparisce il termine subordinato; se il Volere valutante manca e l'io non è che aggregato temporaneo e variabile di impulsi e di tendenze accidentali, il dovere non sorge perché manca il termine subordinante.
Il problema del dovere è perciò il problema di questo rapporto, e delle difficoltà che nascono, sia dal concepire il Volere operante come uno e identico col Volere valutante; sia dal concepirlo come distinto e diverso; sia infine dal concepire, secondo importa la necessità di una conciliazione, le due volontà come distinte e diverse nell'uomo individuo, ma come una e identica in un Potere soprapersonale del quale il valore morale esprime la legge nella coscienza individuale.
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