E i sistemi nei quali i valori morali sono ricondotti a un criterio intellettuale, o estetico, o religioso, o etnico, o umanitario, o filogenetico, o solidaristico, o egotistico, o quale altro si voglia, non sono piú, guardati per questo rispetto, tentativi dispersi, ma, per cosí dire, paralleli di giustificare o di «fondare» il valore di un medesimo contenuto; essi esprimono invece, nella parte forse maggiore e piú significativa, una diversità di contenuti contrastanti; e soltanto in parte un contenuto comune, che si colora pur esso diversamente, secondo la fiamma a cui si riscalda.
Perciò, considerata nell'interiorità della coscienza personale, la parte di contenuto etico nella quale essa sente di concordare colle altre non ha per sé autorità maggiore o diversa delle parti per le quali discorda. A meno che la coscienza stessa possa o debba riconoscere, senza abbandonare il proprio criterio di valutazione, una qualche differenza, se non di natura, di grado, tra quella e queste.
CAPITOLO TERZOLA CONDIZIONALITÀ NEI VALORI MORALI
Se si suppone, per un'ipotesi inverosimile, che lo spirito filantropico, lo speculativo, il religioso, l'estetico, non riconoscano rispettivamente altri valori all'infuori di quelli che si possono commisurare al criterio di valutazione proprio di ciascheduno, si troverà tuttavia che certe doti spirituali, poniamo, l'alacrità, la tenacia, il dominio di sé, l'ardimento, sono e debbono essere considerate come valori da tutti indistintamente i tipi supposti; perché tutti (nell'ipotesi, sottintesa, che siano intelligenti) debbono riconoscere che quelle doti personali sono condizioni o indispensabili o sommamente utili alle forme di attività corrispondenti, cioè all'attuazione di quell'ordine di valori che ciascuno ha posto a sé come tali.
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