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      Cosí obbiettivamente nell'ordine di una possibile legislazione esterna, sarebbero doveri primari, soli veri doveri, quelli appunto che soggettivamente per la legislazione interna di molte se non di tutte le coscienze individuali, valgono come doveri derivati, cioè tali soltanto in grazia di doveri d'altro ordine, dei quali l'obbligatorietà esterna tutela subordinatamente, ma non impone l'osservanza.
      E resta in ogni caso la questione: Quei valori che una coscienza riconosce come valori in sé, e a cui commisura gli altri valori sono posti ad arbitrio?
     
      CAPITOLO QUARTOIL PRESUPPOSTO DI OGNI VALUTAZIONE MORALE
      E L'OPPOSIZIONE FONDAMENTALE DEI CRITERI
     
      La distinzione stabilita nel capitolo precedente implica che siano valori morali diretti, cioè supremi e normativa per ogni coscienza, soltanto quelli che la coscienza stessa pone a sé e riconosce come tali; e non dà ragione del fatto che siano posti e riconosciuti come valori morali diretti, cioè valori per sé, anche quei valori di libertà e di giustizia che appaiono, nella deduzione che se n'è fatta qui sopra, come valori morali universali soltanto in grazia del rapporto necessario di precedenza condizionale che li lega ai primi. E ciò significa che la distinzione stessa non ha che un valore provvisorio, finché non si ammette quella tesi, e non si dà ragione di questo fatto.
     
     
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      C'è, sottinteso, nella tesi del resto inevitabile — che siano valori morali per ciascuna coscienza quei valori che essa pone a sé come supremi e normativi, qualche presupposto?


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Il vecchio e il nuovo problema della morale
di Erminio Juvalta
Einaudi Editore Torino
1945 pagine 103

   





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