Ed è vana, anzi in sé contraddittoria, ogni discussione sulla sua legittimità. Perché discutere di questa legittimità non è possibile senza ammettere e postulare come dato e fuori di ogni contestazione, qualche valore intrinseco, al quale si possa riferire e col quale si possa confrontare e commisurare il valore in discorso.
E poiché il valore che dovrebbe servire di termine di confronto e di dato incontestabile per giudicarlo, implica necessariamente la validità di ciò che deve essere giudicato, cioè la legittimità del presupposto del quale si discute, ogni contesa assiologica intorno ad esso si avvolge irrimediabilmente in un circolo vizioso.
Avviene, mutatis verbis, qualche cosa di perfettamente analogo a quel che accade nel campo della conoscenza, quando si discute del valore teorico della ragione. Ogni critica presuppone necessariamente la validità di quella ragione che è chiamata in causa.
* * *
Bisogna dunque accettare o respingere la legittimità del presupposto; accettando o respingendo insieme ciò che si regge sulla sua validità.
Non c'è via di mezzo possibile. Ricusarlo vuol dire negare ogni valore morale; accettarlo vuol dire riconoscere valore morale a ciò che costituisce la personalità, a ciò che le è essenziale, e che la fa essere non la personalità astratta e comune che non sussiste per sé e non basta a costituire questa o quella persona, la mia persona; ma la persona individuata viva e concreta, in quel che ha di universale e di comune e in quel che ha di proprio, di suo, di individuale; l'umanità non dell'uomo genere, dell'uomo tipo, ma di questo o di quell'uomo.
| |
|