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      Insomma non può volere l'unità se non di quello spirito di cui è la volontà.
     
     
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      Ma quale è la prova che questa idealità non è un capriccio dell'io transitorio e mutevole, ma è veramente legge delle mie valutazioni e delle mie azioni?
      La prova non è e non può essere data se non a me stesso, da me, dall'attestazione della mia coscienza. Ed è perciò che la legittimità dei valori posti da me non è contestabile da altri né controllabile.
      Ma vi è tuttavia una prova esterna, di fatto, tenuta normalmente valida nel giudizio comune; e che è veramente necessaria, anche se non è sempre sufficiente; e questa prova è il sacrificio. Appunto perché il sacrificio attesta che ogni mia facoltà, ogni mio potere si raccoglie e si appunta nella volontà di attuazione di quel valore; e che io nego e respingo da me ciò che mi costringerebbe a negarla.
      Cosí è che il valore della vita si misura dal valore di ciò a cui si è disposti a sacrificarla; e che, per converso, l'esser pronti alla morte apparisce l'affermazione piú decisiva del valore di ciò a cui si è devoti.
     
     
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      Le esigenze costitutive della personalità si attuano dunque informando di sé un contenuto spirituale che è sempre in qualche parte proprio e caratteristico di ciascuna coscienza individuale; come raggi di una medesima luce che tralucono per cristalli diversi; e ciò fa di quel particolare contenuto la condizione o il mezzo per il quale la personalità si pone e si realizza nell'io individuale e concreto; la materia che si suggella di quella forma.


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Il vecchio e il nuovo problema della morale
di Erminio Juvalta
Einaudi Editore Torino
1945 pagine 103