Anzi dovrà apparir tale finché essa considera le condizioni esterne della convivenza come idealmente poste e giustificate soltanto in forza della propria idealità, e non giustificabili fuori di quella.
Ma se si guarda un po' piú dentro si vede che la coscienza stessa religiosa deve esser condotta a riconoscere che quella subordinazione non è neppure per essa necessaria; perché la legislazione esterna trova la sua giustificazione in quella stessa esigenza etica fondamentale, in nome della quale essa coscienza riconosce il valore supremo della propria idealità, e l'autorità divina del Potere che la realizza.
È la esigenza del rispetto della persona umana come sorgente di ogni valore; del valore stesso e della inviolabilità della fede che essa attesta, e che oppone a ogni altra fede. Ed implica quella libertà che essa non può negare in altra persona senza negarne il valore per sé: che ogni altro deve riconoscere a lei per non vilipendere la propria; che è il principio da cui muove e il termine a cui riesce ogni elevazione dello spirito.
Inoltre: Ogni sforzo che si faccia per tradurre un dovere religioso in obbligo giuridico e dargli una sanzione materiale esterna, contraddice, nel momento stesso che sembra affermarla, l'esigenza della religiosità. Perché tende a sostituire al motivo religioso — del tutto interiore — della devozione e della adorazione, un motivo esteriore e di necessità egoistico; il motivo della sanzione. Il quale si trova cosí invocato a garantire ciò di cui è la negazione: la disposizione interiore dello spirito, e la purità delle intenzioni.
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Potere
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