Il fine è l'attuazione di quel valore che la coscienza riconosce come morale; e non è l'altezza della soddisfazione che se ne possa attendere, che costituisce il pregio dell'azione, ma è il pregio dell'azione che misura l'altezza della soddisfazione; la quale è pura soltanto a patto che non se ne faccia lo scopo dell'operare.
(6) È appena superfluo aggiungere che non penso neppur per sogno di negare una possibile efficacia all'insegnamento religioso in quanto esso, come ogni insegnamento, non è mai (salvo forse agli occhi di chi lo misura col tassametro) pura comunicazione di notizie o di idee, ma è vigore di convinzione, calore di affetti, opera di formazione; insomma, educazione. Ma anche l'educazione suppone le condizioni dell'educabilità.
E si suppone poi sempre che chi legge faccia uso del consueto grano di sale.
(7) Cfr. Postulati etici e postulati metafisici, p. 199.
(8) È forse superfluo avvertire che qui si parla di valori nuovi immediati e diretti; non di valori indiretti o mediati. Di questi altri, anzi, ogni incremento del sapere moltiplica il numero e le gradazioni; ed è in questa derivazione e deduzione dei valori indiretti e mediati dai diretti e immediati, che l'etica applicata prende a prestito dalla conoscenza scientifica le premesse minori dei suoi sillogismi valutativi.
(9) Di qui nasce la tendenza incoercibile, manifesta nei maggiori pensatori, a identificare il volere puro, il volere che esprime l'essenza della personalità umana, il volere libero e autonomo, il «vero» volere col volere morale; e a considerare gli atti immorali come prodotti non dalla volontà, ma da difetto di volontà, da qualche cosa di esterno ad essa; non come espressione di attività e libertà, ma di passività e servitù.
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