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      (12) La ragione di natura egoistica che Kant fa seguire può valere tutt'al più come un tentativo poco felice di giustificare la simpatia dal punto di vista dell'interesse individuale, ma non varrebbe per sé in alcun modo a dimostrare l'impossibilità di volere di cui si parla, se non a patto di identificare (pericolo forse non avvertito) il volere dell'uomo «come essere ragionevole» col volere del «caro Io».
      (Il corsivo delle parole sottolineate in questa e nella citazione precedente è mio, tranne per la parola volere spazieggiata).
      Cito per la Fondazione della metafisica dei costumi la bella traduzione del Vidari (Pavia, Mattei Speroni e C., 1910); per la Critica della ragion pratica mi riferisco al testo originale nella edizione della R. Accademia di Prussia (Kant's Gesammelte Schriften, vol. V, G. Reimer, Berlin, 1908).
      (13) Kritik der praktischen Vernunft, I, 1, 1, §. 7, Folg. p. 31
      (14) E che veramente si sottintendano come già noti e riconosciuti è confermato all'evidenza dall'analisi di ciò che costituisce veramente il presupposto fondamentale non solo di quella citata ma dalle altre esemplificazioni; con le quali si prova — non già, come s'è visto, l'impossibilità per sé di universalizzare — ma l'impossibilità di volere che una tal massima valga come universale.
      Infatti la ragione per la quale non si può erigere a massima universale il principio che chi è stanco della vita può uccidersi (1° esempio) non è già l'impossibilità di concepire seguíta una tal massima da tutti quelli che sono stanchi della vita, ma l'impossibilità di volere che sia riconosciuta e adottata; perché essa implica che si affermi la superiorità del piacere sui valori morali (dei quali la vita è condizione); mentre, appunto perché li riconosciamo come morali, affermiamo e vogliamo il contrario.


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Il vecchio e il nuovo problema della morale
di Erminio Juvalta
Einaudi Editore Torino
1945 pagine 103

   





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