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      I cantici, le preghiere, il frequentare le chiese, tutto ciò deve servire unicamente a dare all'uomo nuove forze ed un nuovo coraggio per diventare migliore; altro non deve essere che la pura espressione di un cuore animato dall'idea del dovere; tutto ciò è preparazione al bene, ma non costituisce il bene in sè. Non possiamo piacere all'Ente supremo se non diventando migliori.
      Ai fanciulli conviene anzitutto insegnare la legge che hanno entro di loro. L'uomo è dispregevole agli stessi occhi suoi quando cade nel vizio. Questo disprezzo ha la sua ragione in sè, e non già nella considerazione che Dio ha proibito il male; imperocché non è necessario che ogni legislatore sia nel tempo stesso autore della legge. Così un principe può vietare il furto nei suoi Stati, e nondimeno egli potrebbe non essere l'autore della proibizione del furto. Quindi l'uomo riconosce che la sua buona condotta può solo renderlo degno della felicità. La legge divina deve nel tempo stesso apparire come una legge naturale, poiché non è arbitraria. La Religione rientra dunque nella moralità.
      Ma non bisogna cominciare dalla Teologia. La religione che sia fondata semplicemente sulla Teologia, non può contenere alcun che di morale. Essa non ispirerà altri sentimenti che il timore da una parte e la speranza del premio dall'altra; e quindi produrrà un culto superstizioso. La Morale deve pertanto venir prima della Teologia. E così abbiamo la Religione.
      Dimandasi coscienza la legge considerata in noi. La coscienza è veramente l'applicazione delle nostre azioni a questa legge.


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La pedagogia
di Immanuel Kant
Paravia Torino
1925 pagine 96

   





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