E questo non è ancor tutto. Imperocchè si sciupa ancora del lavoro senza nessun profitto, con pura perdita: qui, per mantenere la scuderia, il canile e il servitorame del ricco: colà per soddisfare i capricci delle eleganti mondane e il lusso depravato dell'alta furfanteria; altrove, per costringere il consumatore a fare acquisto di ciò di cui non ha bisogno, o imporgli colla sfacciata ciarlatanesca pubblicità un articolo di pessima qualità; altrove ancora, per produrre delle merci assolutamente nocive al pubblico, ma giovevoli allo speculatore. Ciò che viene in tal guisa sprecato basterebbe per raddoppiare la produzione utile, o per corredare di macchine e strumenti tante manifatture ed officine, che presto farebbero rigurgitare i magazzini di tutte le provviste di cui i due terzi della nazione sono mancanti.
Da ciò risulta che un buon quarto di coloro stessi che in ogni nazione si dedicano ai lavori produttivi, è regolarmente costretto a scioperare per tre o quattro mesi ogni anno, e il lavoro degli altri tre quarti, se non di una buona metà, non può avere altro risultato che il divertimento dei ricchi o lo sfruttamento del pubblico.
Se si considera dunque, da un lato la rapidità colla quale le nazioni civili aumentano la loro forza di produzione, e dall'altro i limiti assegnati a questa produzione, sia direttamente che indirettamente, dalle condizioni attuali, si deve concluderne che un'organizzazione economica, per quanto poco ragionevole, permetterebbe alle nazioni civili di ammucchiare in pochi anni tale quantità di prodotti utili ch'esse sarebbero costrette a gridare: «Basta!
| |
La conquista del pane
di Petr Alekseevic Kropotkin
Libreria internazionale d'avanguardia Bologna 1948
pagine 282 |
|
|
|