Giacchè nel 1789 e nel 1793 s'istituirono opifici nazionali; giacchè nel 1848 si ricorse allo stesso mezzo; giacchè Napoleone III riuscì, durante dodici anni, a frenare il proletariato parigino dandogli a compiere lavori - i quali valgono oggi a Parigi il suo debito immenso e la sua imposta municipale di 90 lire a testa; giacchè questo eccellente rimedio per «domar la belva» si applicava a Roma e anche in Egitto quattro mila anni fa; giacchè, infine, despoti, re e imperatori hanno sempre saputo gettare al popolo un pezzo di pane per aver il tempo di raccogliere la frusta che loro era sfuggita di mano, - è naturale che la gente «pratica» propugni questo metodo di perpetuare il salariato. A quale scopo lambiccarsi il cervello quando si può disporre degli stessi metodi impiegati dai Faraoni di Egitto?
Ebbene! Se la Rivoluzione avesse la sventura di mettersi su questa strada, sarebbe perduta.
Quando nel 1848 si aprivano gli opifici nazionali, il 27 febbraio, gli operai senza lavoro, a Parigi non erano più di ottomila. Quindici giorni più tardi, erano già 49 mila. E ben presto divennero centomila, senza contare quelli che accorrevano dalle provincie.
Ma, in quell'epoca, l'industria e il commercio non occupavano in Francia la metà delle braccia che occupano ora. E si sa che in tempo di rivoluzione, sono appunto gli scambi e le industrie che ne soffrono maggiormente.
Che si pensi soltanto al numero di operai che lavorano, direttamente o indirettamente, per l'esportazione; al numero delle braccia impiegate nelle industrie di lusso, le quali attingono la loro clientela nella minoranza dei ricchi!
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La conquista del pane
di Petr Alekseevic Kropotkin
Libreria internazionale d'avanguardia Bologna 1948
pagine 282 |
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